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Nullo il licenziamento intimato per motivo illecito ritorsivo e reintegra nel posto di lavoro presso l’ultima affittuaria dell’azienda che nelle more era stata retrocessa e poi nuovamente affittata.

giovedì 11 agosto 2022

BY FILIPPO AIELLO

Tribunale di Velletri, sent. 15-02-2022 n. 117.


Una lavoratrice, assistita dall’avv. Filippo Aiello, conveniva innanzi al Tribunale di Velletri, Giudice del Lavoro, tre società susseguitesi nella gestione di un ristorante e, in particolare, la prima, quale proprietaria, la seconda, prima cessionaria, fino ad una data posteriore al 7 marzo 2015, in virtù di un contratto di affitto di azienda risolto consensualmente; la terza, seconda cessionaria, in virtù di un contratto di affitto di azienda stipulato con decorrenza successiva alla risoluzione del menzionato contratto d’affitto fra la prima e la seconda società. La lavoratrice era stata assunta dalla seconda società (di cui era anche socia assieme al marito e altri due soci) con un rapporto di lavoro formalizzato solo parzialmente per la mancata intermedia regolarizzazione - in occasione di dimissioni rassegnate in periodo di gravidanza - e formalizzato nuovamente solo in epoca posteriore al 7 marzo 2015. 

Di fatto, però, il rapporto si era svolto senza soluzione di continuità sino al licenziamento intimatole per giusta causa sempre dalla seconda società a giugno 2020. Successivamente al licenziamento l’azienda veniva retrocessa alla prima società – che ne era la proprietaria – e da questa affittata alla terza società.  

La lavoratrice lamentava, la nullità del licenziamento ex art. 1345 c.c., affermando che il recesso aveva un unico motivo illecito determinante che originava in una vicenda extra-lavorativa di natura strettamente personale della lavoratrice che l’avrebbe resa “sgradita” al coniuge separato, come detto, socio anch’egli della seconda società, e agli altri soci che avevano assunto la decisione di estrometterla dall’azienda. Chiedeva, in via principale, la tutela reale con applicazione della reintegrazione “forte” nonché, ex art. 2112 c.c., la reintegra nel posto di lavoro, nei confronti della terza società al momento titolare dell’affitto d’azienda.

Il Tribunale, rilevato che il licenziamento ritorsivo consiste in un’ingiusta e arbitraria reazione del datore di lavoro di natura essenzialmente vendicativa a fronte di un comportamento legittimo del lavoratore riconducibile, ai sensi dell’art. 1345 c.c., all’alveo dei licenziamenti nulli per motivo illecito e che l’onere della prova del carattere ritorsivo del licenziamento grava sul lavoratore, osservava che, nel caso di specie l’addebito disciplinare mosso alla dipendente era infondato sicché non poteva ritenersi sussistente una giusta causa di licenziamento; aggiungeva che, dalla valutazione complessiva della vicenda, considerata la contiguità temporale tra la separazione coniugale della ricorrente, il suo licenziamento illegittimo e le vicende circolatorie dell’azienda, riteneva dimostrato l'intento ritorsivo del recesso datoriale, finalizzato ad estromettere la ricorrente dall’azienda ed impedirle di proseguire la sua attività lavorativa alle dipendenze della nuova società cessionaria. Il Tribunale, pertanto, riconosceva alla lavoratrice la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 co. 1 Stat. Lav. prevista dal legislatore nelle ipotesi dei licenziamenti nulli.

In ordine alla tutela da applicare, il Tribunale rilevava che il rapporto si era svolto senza soluzione di continuità - anche per la dedotta inefficacia delle dimissioni in quanto non convalidate ai sensi dell’art. 55 del D.lgs. n. 151/2001 – con decorrenza, quindi, anteriore al 7 marzo 2015 e che il rapporto, ripristinato fra le parti originarie, doveva ritenersi trasferito in capo alla prima società – proprietaria dell’azienda - in virtù della retrocessione, e, quindi, trasferito, sempre ai sensi dell'art. 2112 c.c., in capo alla terza società, nuova cessionaria, nei confronti della quale veniva, pertanto, emesso l’ordine di reintegrazione.